I megaliti di Briaglia (Mondovì, Cn)

Nel 1969, Ettore Janigro D’Aquino, Professore di Archeologia, trovò alcune pietre lavorate nella zona di Vicoforte, nel 1970 iniziò una serie di scavi presso il comune di Briaglia dove, secondo le sue teorie, dovevano trovarsi tracce di insediamenti risalenti ai Celto-Liguri, popolazioni esistenti nelle nostre vallate molte migliaia di anni prima dell’avvento dei Romani (circa 2000 anni a.C.). Nelle colline di Briaglia Santa Croce egli scoprì megaliti più o meno sommariamente sbozzati a forma umana stilizzata (statue – stele) o a forma di animali, fra cui un bel cinghiale (ancora esistente nell’area verde “Un Belvedere sull’arco alpino”) o di obelischi (statue-stele-menhir).

La scoperta fece molto scalpore ed attirò nella zona studiosi e archeologi.

Così dopo aver avuto la matematica certezza di aver dato finalmente una spiegazione a molti suoi interrogativi, il Prof. Janigro si è stabilito a Briaglia ed ha iniziato a sue spese gli scavi aiutato dai componenti del gruppo speleologico monregalese, dal comune e dalla pro loco. Non sono tardati così i suoi primi ritrovamenti, come un dolmen, vale a dire un insieme di pietre considerate sacre e disposte a forma di cerchio con al centro una pietra più lunga , lavorata, su cui è scolpita l’immagine di un toro, Dio animale dei Liguri Bagienni. Fu poi scoperto anche un menhir, monumento anch’esso religioso, costituito da una lunga pietra della dimensione di 4 metri e 30 cm. di altezza e 40 cm. di larghezza. Tale ritrovato è simile , però più grande , ad un altro rinvenuto a Giurdignago (Lecce) e ritenuto sino a prima della scoperta di Briaglia, quello con dimensioni maggiori scoperto in Italia. Da ultimo, infine, sono stati scoperti  anche alcuni menhir ; il più grande è stato localizzato vicino ad una vigna lungo una stradina che scende dall’abitato di Briaglia, verso il torrente Corsaglia.

Da un articolo di G. Morello Strano, 1971 si legge:

"…La scoperta dei megaliti e del dolmen in questa zona Piemontese è archeologicamente importante. Fino ad allora in Italia si conoscevano i segni di questa “cultura” soltanto in Sardegna (“Domus de Janas”, “Menhir”) e nelle isole (recinti, grotte artificiali) nella Toscana, al confine ligure della Lunigiana (statue-stele) e sporadicamente qua e là un po’ ovunque, nel territorio peninsulare, specialmente in Puglia, ma raramente in Piemonte, fatta qualche eccezione; perchè il Piemonte  è stato fino ad epoca romana il lembo occidentale di una grande, inattraversabile palude: La Padana, lussureggiante di canneti, boscaglie, foreste vergini. Gli attuali fiumi erano acquitrini o laghi senza un vero e proprio letto: le strade dovevano per forza bordeggiare una pista alta almeno 300 metri: una linea, come tuttora si dice, di “costa”. Le colline di Briaglia si trovano appunto all’altitudine attuale di 300-500 metri, una zona già salubre anche in tempi remoti. Fiumi e ruscelli che ovunque hanno tracciato le prime strade portano, mediante vicini valichi alla Liguria di quel “Ponente” che ci ha restituito le grotte paleo-neolitiche dei “Balzi Rossi” (Ventimigliese), del Finalese (“Toirano”, “Finale”) e via via di altre sedi preistoriche meno importanti che, arrivando fin all’età del “ferro”, abbracciano approssimativamente circa 200 mila anni (dai “Neanderthal” di 200.000 anni fa ai Liguri pre Romani del 500-300 a.C.). La cultura megalitica, questa a cui si riferiscono i ritrovamenti di Briaglia, si manifesta nell’età della pietra finale e si prolunga fino all’età del ferro. In Europa sembra essersi diffusa nel II-III millennio a.C. Si può considerare come l’esasperazione  della cultura della pietra. La neolitica levigatura che prima era stata affidata a tribù matriarcali aveva ceduto il posto alla virile grossa pietra di uomini eccezionalmente robusti, fra cui nacquero gli eroi del mito. Erano agricoltori-pastori che avevano imparato a maneggiare grossi macigni anche a scopo di difesa, allineandoli e sovrapponendoli in mura da cui nasceranno ciclopiche acropoli e castellari, recinti, nuraghi, sepolcri.

La religione che era superstizione e magia, come tuttora sussiste in tanti popoli selvaggi, attribuiva ai sacri megaliti un potere magico. Non per niente nel sec. VIII d.C. ai tempi di Liutprando, fu ordinato l’interramento e la mutilazione dei « menhir » a cui si tributavano ancora culti pagani. La nostra generazione superficiale e (non del tutto) disincantata li sta ora dissotterrando con crescente stupore."

 

Il Prof. D’Aquino , nell’estate del 1971 cominciò una piccola campagna archeologica. Oltre a mappare i siti ipogei presenti sul territorio, vennero portate alla luce delle pietre recanti incisioni attribuibili probabilmente all’intervento umano.

Si interpellò quindi la soprintendenza archeologica per il Piemonte per ottenere un parere da parte dell’organismo competente e, raccolti questi reperti nella locale Confraternita di San Giovanni, si istituì un gruppo per la difesa archeologica di Briaglia.

 

Improvvisamente i reperti, ritenuti  in un primo tempo di grande interesse archeologico, vennero  dichiarati di formazione naturale e gli scavi furono abbandonati.

 “… nel corso del sopralluogo si appurò trattarsi di materiali che non rivestono interresse archeologico, il cui aspetto, talvolta vagamente antropomorfo o zoomorfo, è legato a fenomeni di erosione di origine naturale; se ne consiglia  pertanto (…) un utilizzo che li riporti ad una dimensione naturalistico-ambientale.”

Da quando il Prof. D’Aquino ha interrotto gli scavi (durati circa 3 anni) tutti i reperti sono stati abbandonati nel più completo degrado e molti sono andati perduti.

Durante il corso degli anni questi ritrovamenti hanno continuato a destare interesse nella popolazione locale che non li ha dimenticati.

Il 28 settembre 2004 è stato istituito un gruppo di lavoro per la salvaguardia a la rivalutazione dei “megaliti” di Briaglia. Il Gruppo speleologico di Giaveno che ha recentemente  esplorato e filmato il prezioso Dolmen della Casnea, ad oggi ancora accessibile, è interessato a continuare questo lavoro per esplorare e portare alla luce le altre cavità ancora esistenti.

 

Il comitato ha iniziato un lavoro di archiviazione e catalogazione della documentazione esistente operando inizialmente con la collaborazione del Prof. Ettore Janigro D’Aquino che fino alla sua scomparsa (avvenuta il 27 ottobre 2005) ha continuato a credere fermamente nella sua ipotesi.

All’interno della ex Confraternita di S. Giovanni sono state sistemati i ritrovamenti di dimensioni minori.

E’ stata realizzata l’area ambientale  “Un belvedere sull’arco alpino” che accoglie al suo interno un percorso  di visita ai reperti con pannelli illustrativi.