Utopia e cibo: una gustosa relazione

 

L'Utopia è il campo del desiderio,

di contro alla Politica, che è il campo del bisogno.

Roland Barthes

 

Circa il  valore culturale della letteratura utopica e la sua influenza sulla politica, sul teatro, sul cinema non possono sorgere dubbi. Meno immediata può forse sembrare la sua influenza e relazione sulle tradizioni culinarie e sul pensiero gastronomico in genere.

Come per gli altri ambiti però anche la cucina risente della forza creatrice di questo pensiero al punto che è possibile stabilire un fil rouge che lega il nostro modo di sognare e pensare il mondo e ciò che mangiamo a tavola.

Il tema del cibo è intrinseco alla letteratura di carattere utopico, quasi il necessario corollario ad un teorema, esso sta all’utopia come l’ombra sta al suo frutto. Ed è in questa relazione di reciproca implicazione che giocano questi due elementi per certi versi indisgiungibili. Essi, infatti, nel corso della storia del pensiero occidentale, si rincorrono fecondandosi, sostanziandosi l’un l’altro.

Il cibo, a volte, in società immaginarie caratterizzate dall’opulenza, viene enfatizzato come segno di abbondanza, mentre in altri contesti storici diventa il segno, di un’ umanità nuova che ha trasceso i bisogni materiali di cui la fame è l’esempio più evidente.

Il cibo e più in generale l’alimentazione sono elementi fondamentali nella descrizione di ogni società immaginaria. Due universi di discorso che si intrecciano, dove l’uno  è spesso lo specchio fedele dell’altro; legato alle utopie ne sposa in pieno i significati a seconda delle epoche storiche.

Il suo valore nelle rappresentazioni utopiche non risiede tanto nell’aspetto pragmatico quanto nella valenza metaforica e simbolica, nella capacità di evocare il complesso dei valori di una società quasi ne fosse la cartina tornasole.

Così sarà una presenza eminentemente liquida (latte e miele) nei miti delle età dell’oro oppure il segno di armonia ne La Repubblica di Platone; diventerà simbolo eucaristico nelle utopie medievali e conoscerà aspetti iperbolici in quelle rinascimentali; sarà sinonimo di curiosità e raffinatezza nelle utopie illuministe e segno di un rinnovato ritorno allo stato di natura in quelle romantiche; simbolo di identità e speranza nelle utopie socialiste ed inquietante presenza nelle distopie novecentesche dove diviene segno evidente di mondi spaventosi, frutto di deviazioni dall’ordine naturale.

Una cosa è certa: il cibo nei mondi Utopici diventa un marcatore culturale, un principio identitario, in quanto ciò che si mangia è il riverbero dell’impianto ideologico sul quale si fonda un determinato immaginario sociale.

 

Il miglior cibo possibile nel migliore dei mondi possibili

 

Le uniche cose sopportabili

Sono le cose che non sono

Giacomo Leopardi

 

Parlare di utopia ou tòpos (letteralmente “non luogo”)  è confrontarsi con il tema della lontananza, del limite oltre il quale non ci è dato andare se non nella modalità del sogno. E pensare il lontano significa dare figura e forma a ciò che visibile non è, accettare la sfida di creare una nuova sintassi, accogliere in noi nuove immagini in un movimento verso un nuovo tempo e nuovi spazi che sono quelli dell’immaginazione. Uno spazio dove fluttuano sogni e speranze che tra vaghezza ed illusione rendono più accettabile il qui ed ora; un nuovo sguardo sul mondo attraverso un sovramondo.

Talvolta è poco più di una seducente immagine come l’isola evocata da Guido Gozzano nella poesia La più bella; metafora dell’eterna ricerca di senso:

 (…) s’annuncia col profumo, come una cortigiana (…)

rapida si dilegua come parvenza vana,

si tinge dell’azzurro color di lontananza (…)

L’utopia è il tentativo di giungere a una terra promessa, a un’età dove all’umanità è consentito  vivere uno stato di purezza; e in questo mondo nuovo, che è il migliore dei mondi, spesso  il cibo assume un significato primario, funzionale alla creazione ed al  mantenimento di nuovi ordini sociali e si fa garante delle virtù degli individui.

Gli abitanti delle città radiose si nutrono in modo frugale con grande semplicità: latte, frutta e legumi.

Nella totalità delle utopie c’è un’ insistenza sulla necessità di nutrirsi con alimenti puri, in contrapposizione a quelli impuri del mondo reale; da ciò si comprende che il cibo non assolve soltanto ad una funzione nutritiva, bensì morale e spirituale[1].

Siamo di fronte alla teorizzazione di sistemi alimentari la cui finalità è quella di preservare o suscitare le virtù fisiche e morali nei cittadini. In questo modo il cibo diventa la conditio sine qua non per la realizzazione dell’utopia; se noi siamo ciò che mangiamo viene da sé pensare che la nostra umanità dipenda da ciò che consumiamo e da come lo consumiamo.

Non a caso Platone quando scrive la Repubblica, in un’epoca di guerre ed invasioni, pensa di opporre al caos dei suoi tempi e allo spirito di rapina l’ideale armonico di una società la cui dieta è frugale e rigorosamente vegetariana. Per bocca di Socrate espone a Glaucone  la teoria  che l'alimentazione ideale per gli uomini della città del futuro dovrà essere semplice e vegetariana: focacce di frumento e orzo, olive, formaggio di capra, cipolle, legumi, dolcetti di fichi, bacche di mirto, ghiande arrosto e un po' di vino. Alle obiezioni di Glaucone, che pretenderebbe una dieta a base di carne, Socrate, anticipando i motivi ecologici del vegetarianesimo, oppone le sue ragioni

avremo bisogno di molti maiali e di guardiani, e poi saremmo costretti a ricorrere più spesso ai medici. E gli allevamenti richiederanno spazi nuovi, sottraendo terreno all'agricoltura. Così, la città sarà costretta ad invadere i paesi vicini ed a fare la guerra"

Platone, La Repubblica.

questo collegamento tra alimentazione carnea e guerra fu visto anche da Pitagora, il quale sosteneva che "finché gli uomini massacreranno gli animali, si uccideranno tra di loro.

Il filosofo greco prevede una dieta vegetariana per la classe di produttori e per i guardiani  della Repubblica. Questo modello di moderazione, di rifiuto dell’avidità e del lusso, è funzionale alla distrazione dal bene egoistico e preserva il bene comune.

Questo particolare tipo di alimentazione si inserisce in un disegno pedagogico finalizzato non solo ad educare i cittadini, ma anche e soprattutto a costruire una nuova società, opposta ed alternativa al mondo suo contemporaneo[2].

La dieta diventa l’espediente per colmare il divario tra gli dei e gli uomini, la possibilità di abbattere le barriere entro le quali l’essere umano è rinchiuso e stabilire così un contatto più diretto con il soprannaturale.

 Il vegetarianesimo, inoltre, sottrae il cittadino della Repubblica al pericolo delle rinascite al quale sarebbe soggetto in virtù di una dieta carnea. E’ la fede nel mito e nell’origine divina dell’ordinamento sociale che permette agli individui di vivere in armonia. In questa utopia l’uomo è concepito come il  tassello di un mosaico e la sua esistenza si spiega in rapporto all’insieme sociale la cui struttura trova giustificazione nel mito. La Repubblica è quindi il tramite tra l’esistenza umana e la realtà superumana[3]. La meta dell’individuo, come del resto quella del governo, è la felicità eudamonia nel senso classico di integrazione, di completezza e di partecipazione al divino, possibile anche per mezzo di un comportamento alimentare appropriato. La dieta diviene quindi un fattore di perfezionamento, in quanto avvicina l’umanità ad un disvelamento divino. Come già insegnavano i pitagorici e l’orfismo, ai quali Platone si ispira, la scelta vegetariana diventa ricerca del cibo perfetto, un super-alimento in grado di avvicinare gli uomini ad uno stato divino[4].

 

Jacques Pierre Rigaut

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[1] Il ricorso ad una alimentazione pura, originaria, ripresa in tutte le epoche coinciderebbe, secondo alcuni critici, con il sogno di ritornare alla quiete delle origini, al seno materno e altro non sarebbe che la trasposizione in età adulta della felicità data al bambino dal latte materno epoca della vita nella quale la suzione prevaleva sulla masticazione.

 

[2] P. Scarpi, Il senso del cibo. Mondo antico e riflessi contemporanei, Sellerio, Plaermo, 2005.

 

[3] L’immaginario utopico antico ha come oggetto la perfezione sociale; in questi mondi immaginari prevale l’idea di armonia ma non di uguaglianza. L’uomo grazie alla dieta frugale diventa giusto, conforme all’ordine divino.

 

[4] Omero, a questo proposito, presenta un aspetto significativo; nell’ Odissea (XI, 23-36) Ulisse, giunto all’ingresso di Ade, scava una fossa, versandovi vino, miele acqua e farina ed offre una vittima sacrificale in onore delle anime dei defunti. Il cibo è tramite tra il mondo dei vivi e quello soprannaturale dei morti.